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Abruzzo » La festa dei serpari

La festa dei serpari

San Domenico, festa dei serpari, Cocullo

La storia di San Domenico e le origini della festa

Paese che vai, tradizione che trovi. Le usanze popolari, infatti, legate a doppio filo con le leggende del luogo e il credo religioso, hanno la grande capacità di adattarsi al massimo al territorio in cui si sono radicate con il tempo. È così anche in provincia dell’Aquila, e per la precisione nel piccolo paese di Cocullo, dove la festa più importante della località racconta il legame della gente del posto con la fauna circostante. Si chiama la Festa dei Serpari ed è la celebrazione che avviene ogni primo maggio, in omaggio a San Domenico Abate, il Santo Protettore dai morsi di serpente. Curioso ed interessante perché l'origine è da ricercarsi nel fatto che la popolazione autoctona, per cacciare e coltivare la terra, si è sempre dovuta spingere nell’attraversamento della natura rigogliosa, esponendosi quindi spesso all’attacco da parte di questi rettili con possibili conseguenze anche letali. A Cocullo, anticamente, si è inoltre sviluppata la figura del “serparo”, una persona particolarmente esperta nella cattura, nella gestione e nella conservazione in cattività dei rettili, un carattere così importante e consolidato da assumere un ruolo fondamentale nella festa cittadina. Addentriamoci quindi, passo dopo passo, nel suggestivo rituale che cattura ancora l’attenzione e la curiosità non solo della popolazione locale, ma anche dei tanti turisti che il primo giorno di maggio accorrono per l'occasione a Cocullo. 

Il paese abruzzese, dal 1031, anno della morte di San Domenico, celebra l'anniversario della scomparsa del Santo con un rito che intreccia la più profonda memoria popolare alla religiosità classica. Con il passare degli anni, questa ricorrenza, che dal 2012 è stata fissata il 1° maggio, mentre fino al 2011 aveva luogo ogni primo giovedì del mese, si è trasformata in una vera e propria festa sacra e profana. Tutto ha inizio alla fine di marzo, quando la neve inizia a sciogliersi e i serpari si radunano per perlustrare tutte le zone al di fuori del paese in cerca dei serpenti che verranno poi utilizzati durante la processione in ricordo di San Domenico. Nell’antichità, dopo la loro cattura, essi venivano risposti all’interno di contenitori di terracotta, fino al giorno della celebrazione. Oggi, invece, i serpenti, rigorosamente non velenosi e appartenenti a 4 specie locali quali il cervone, il biacco, la biscia dal collare e il saettone, sono custoditi per circa 20 giorni in scatole di legno preparate ad hoc dai falegnami del borgo, e vengono alimentati, con topi vivi e uova sode. La storia attorno a San Domenico è molto particolare: diventato uno dei monaci benedettini appartenenti alla diocesi di Foligno, nel corso degli anni decise di lasciare i suoi luoghi di origine per attraversare il Lazio e l'Abruzzo, regioni in cui l’operato misericordioso del Santo fu fondamentale per dare vita a monasteri ed eremitaggi che ancora oggi rappresentano dei punti di riferimento per la religiosità popolare. Proprio a Cocullo sbocciò l’amore per il monaco: il borgo abruzzese, infatti, fu una delle località a cui San Domenico si affezionò di più, fermandosi per ben 7 anni, e lasciando in dote al paese un suo dente e un ferro di cavallo della sua mula, che, dopo la sua scomparsa, diventarono vere e proprie reliquie da onorare e venerare. Il santo è ritenuto protettore dal mal di denti, dai morsi di rettili e da tutte le forme di rabbia.

I festeggiamenti: un rituale suggestivo

La mattina del primo maggio, giunge il momento della festa: un rito che si tramanda immutato e che, in ogni suo dettaglio, è ricco di significati profondi. Come le campane suonate a festa all’interno della cappella di San Domenico. Le persone accorse per prendere parte alla processione, infatti, tirano la cordicella delle campane addirittura con la bocca, come rito propiziatorio per chiedere al Santo di assicurare protezione per i loro denti. Non solo: cittadini e turisti accorrono nella grotta dietro la nicchia del Santo per raccogliere il terriccio benedetto. Secondo la tradizione popolare, infatti, conservare in casa tutto l’anno questa terra permette di proteggere le mura domestiche dal male, mentre berla, diluita nell’acqua, è considerato un toccasana per i malanni stagionali. Dopo aver annunciato l’inizio della festa con il suono delle campane, è il momento della processione: un gruppo di persone carica in spalla la statua del Santo cosparsa di serpenti e innalza fieramente il gonfalone. La processione parte dalla Chiesa e si snoda lungo le stradine del Paese. Fiancheggiano il gruppo centrale due ragazze che portano in dono dei cesti con cinque qualità di pane sacro, detti anche “ciambellani”: questo cibo viene donato, alla fine della festa, a tutti coloro che si sono susseguiti nel portare in spalla la statua di San Domenico. E quando il rituale della celebrazione è terminato, è tempo di tornare alla normalità, nell’attesa che trascorrano i prossimi 12 mesi: l’effige del Santo viene riposta e i serpenti vengono liberati e restituiti ai boschi.